lunedì, 2 luglio 2007

The Beatles


Ovvero, la musica. Ovvero, l’inizio di un’era destinata a lasciare un segno indelebile nella storia: sette anni di incisioni fondamentali, tutti i generi musicali sperimentati con enorme successo, un genio che a distanza di decenni continua a lasciare stupiti. Questo sono i Beatles, questa la loro storia.
Liverpool e dintorni, anno 1957. John Lennon (9/10/1940) suona con il suo gruppo – i Quarrymen – a una festa di beneficenza di paese. Più giovane di due anni, l’allora chitarrista Paul McCartney (18/6/1942) lo osserva stupito ("quel ragazzo – dirà più tardi – non si ricordava le parole e le improvvisava tutte, in un modo completamente assurdo"). Un amico comune li presenta, non scocca ancora alcuna scintilla, ma Paul viene accolto nella band. Di lì a poco anche George Harrison (25/2/1943), amico di Paul, entra nella formazione come chitarra solista. Quando nel 1960 il gruppo si arricchisce di due nuovi membri, il bassista Stuart Sutcliffe (1940-1962) e il batterista Pete Best (1941), la band ha già cambiato nome: da Quarrymen a Johnny And The Moondogs fino a Silver Beatles (costruito su un gioco di parole: ‘beetles’ significa ‘scarafaggi’, e ‘beat’ rimanda all’omonimo movimento musical-letterario). Di lì a poco l'aggettivo Silver verrà eliminato e il nome del gruppo sarà pronto per la leggenda.
Dopo alcune esibizioni nella nativa Liverpool, i cinque si trasferiscono ad Amburgo e si esibiscono in una serie di locali del quartiere a luci rosse: riescono a non farsi troppo distrarre dalle grazie femminili, migliorano la qualità delle esibizioni live e guadagnano qualche soldo. Dopo aver inciso un singolo come gruppo-spalla di Tony Sheridan ("My Bonnie/The Saints", 1961) i Beatles rientrano a Liverpool, cominciano a suonare al mitico Cavern Club e incontrano Brian Epstein (un negoziante di dischi che diventa loro manager e organizza un provino per Decca Records). E qui casca l'asino, perché produttori e funzionari che più tardi si sarebbero mangiati le dita giudicano vecchio il loro suond e non vendibile il loro look. Stesso lungimirante risultato presso altre etichette, fino a quando nel 1962 i Beatles approdano alla Parlophone, accolti da quello che diventerà il 'quinto' Beatles: il giovane e geniale produttore George Martin.
Nel frattempo la formazione della band conosce un vero e proprio terremoto: la morte del povero Stuart Sutcliffe sposta Paul al basso, mentre Pete Best viene giudicato da Martin non all’altezza del suo ruolo e lascia il posto a Ringo Starr (ovvero Richard Starkey, 7/8/1940): l'ex-batterista di Rory Storm And The Hurricanes si perde solo l'incisione del primo singolo dei Beatles ("Love Me Do", registrato con un session-man), ma consegna a Pete Best il premio per il musicista più sfortunato di sempre. Di qui in avanti, infatti, i Beatles riscuotono un successo che nessun altro ha mai eguagliato nella storia della musica.
E questo nonostante la primissima realizzazione susciti scarsa attenzione, perché poco tempo dopo il brano "Please Please Me" e l’album omonimo portano i Beatles in testa alle classifiche inglesi: è il 1963 e non c'è giovane che non venga conquistato dalla musica e dal look della band. Si vestono come loro, cantano le loro canzoni, sognano loro e soltanto loro, giorno e notte: è nata la 'beatlemania’.
Il talento di Lennon e McCartney sembra un fiume in piena e la loro collaborazione frutta una serie di album e di canzoni memorabili: "She Loves You", "I Wanna Hold Your Hand", "From Me To You" conquistano il pubblico inglese, e poco per volta anche gli Usa si accorgono che qualcosa di memorabile sta accadendo oltreoceano. Il 1964 è infatti l’anno dello sbarco dei Beatles (e della beatlemania) in America: l’apparizione all’Ed Sullivan Show provoca una sorta di effetto-domino che rapidissimamente rende i quattro ragazzi di Liverpool famosi in tutto il paese, e di qui in tutto il mondo (inizieranno presto tournèe in Europa, Asia e Australia). Nella primavera dello stesso anno, fatto unico nella storia, ai primi 5 posti delle classifiche di Billboard ci sono 5 brani del gruppo, mentre altri sette sono sparsi in varie posizioni. Milioni di copie vendute, attenzione frenetica di stampa e tv, tutti i ragazzi del mondo che cercano di imitare i quattro artisti (e tutte le ragazze innamorate di loro!). Che desiderare di più? Interpretati anche due film piuttosto divertenti ("A Hard Day's Night", in italiano "Tutti per uno" e "Help!", "Aiuto!"), i Beatles sfornano successi apparentemente senza alcuna fatica. Tanto che tra il 1964 e il 1965 realizzano ben 4 album ("A Hard Day's Night", "Beatles For Sale", "Help!" e "Rubber Soul"), venendo premiati per meriti economici dalla stessa regina Elisabetta con il titolo di baronetti.
L'ERA DEI GRANDI CAMBIAMENTI
In tutta questa baraonda qualcosa comincia a muoversi verso nuovi panorami. Il sintomo più evidente è che vengono interrotte le esibizioni pubbliche, anche se in realtà nastri e filmati dell’epoca raccontano che poco spazio esse concedevano alla musica: il popolo dei fan, colto da isteria e crisi di pianto, non sembrava minimamente interessato ad ascoltare le canzoni e non era raro che i concerti fossero molto più una lotta con il servizio d'ordine che altro.
A parte le esibizioni live, dunque, il grosso cambiamento è sul piano personale e musicale. Nel primo caso Lennon, Harrison e McCartney cominciano ad avvicinarsi alla spiritualità orientale, non disdegnando peraltro flirt con la psichedelia e le droghe. Dal punto di vista musicale le composizioni del gruppo diventano più complesse, emergono nuove influenze (dal soul alla musica indiana), ma soprattutto si fa strada una forte vena sperimentale. "Revolver" (1967, votato recentemente l’album più bello del secolo) contiene brani più articolati, con testi surrealistici e suoni più duri, mentre contemporaneamente vengono inseriti arrangiamenti d’archi nelle canzoni melodiche. Tra i singoli usciti lo stesso anno abbiamo forse la canzone più famosa di tutti i tempi, "Yesterday", a cui seguono "Paperback Writer", "Nowhere Man", "Eleanor Rigby" e "Penny Lane" (il cui lato B, incredibilmente, è costituito dalla celeberrima "Strawberry Fields Forever").
Nuovo anno, nuovo capolavoro: "Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band" (1967) è una collezione di canzoni che inventa di fatto lo stile brit-pop, portandolo alle sue vette più alte. L’arrangiamento di George Martin ormai si fonde completamente con le composizioni di Lennon e McCartney diventandone parte integrante. Impossibile, insomma, pensare "Lucy In the Sky With Diamonds", "A Day In The Life" o "All You Need Is Love" (singolo uscito successivamente all’album) senza l’apporto del grande George in sede di produzione. Ma la novità è che Harrison sta cominciando a scrivere alcuni tra i brani più belli dell’ultimo periodo del gruppo.
Nel frattempo però cominciano a sorgere forti tensioni interne, tra Paul e John in particolare; la morte di Brian Epstein c'entra non poco, perché il loro manager storico ha certamente giocato un forte ruolo coesivo. Ma, come vuole la leggenda, grande importanza assume il divorzio di John Lennon, che lascia la moglie per amore di un’artista giapponese chiamata Yoko Ono, e inizia con lei a intraprendere una serie di iniziative alternative, dall’impegno pacifista a un’attività parallela come musicista sperimentale.
Nonostante tutto ciò, la successiva realizzazione dei Beatles lascia di nuovo tutti a bocca aperta: nel 1968 esce il cosiddetto "White Album", un doppio LP di qualità eccezionale. Abbandonato il pop, i quattro ragazzi (ebbene sì, perché nonostante la maturità artistica, l’età media della formazione è di ventisei anni) sfornano qualcosa che non è paragonabile a nulla di precedente. Rock, sperimentazione e melodia si mescolano in maniera inusitata, frammentaria, a volte disarmonica, ma assolutamente unica. Il risultato nasce in parte proprio dalle difficoltà comunicative tra i membri della band, che spesso si trovano a incidere senza gli altri componenti, sbizzarrendosi così a proprio piacimento. Paul scopre tanto una vena acustica (restiamo ancora senza parole di fronte alla bellezza di "Blackbird", "I Will" e "Mother Nature’s Son") quanto un'eccellente ispirazione hard-rock ante litteram (non per nulla "Helter Skelter" è stata ripresa sia dai Motley Crue sia dagli U2, senza scordare però "Back In The U.S.S.R." e "Birthday").
John si dà a un rock sperimentale con atmosfere molto oscure ("Revolution 9", "Dear Prudence", ripresa non per nulla da Siouxsie and the Banshees, "Happiness Is A Warm Gun", e la stupenda "Julia", dedicata alla madre morta quando John era un bambino). George, in compenso, abbandonato per un momento il sitar, realizza forse il brano più bello dell’album e tra i migliori dei Beatles in assoluto, "While My Guitar Gently Weeps", il cui struggente assolo viene suonato dall’amico Eric Clapton. Di poco precedente all’uscita dell’album, il singolo "Hey Jude", uno dei più famosi pezzi del gruppo, riconferma che anche la vena per la forma più classica della canzone pop-rock non è affatto venuta meno.

VERSO L'IMMORTALITÀ
Dopo l’uscita di "Yellow Submarine" (1968), episodio minore in una storia fuori dal comune, nel 1969, ormai in clima di smobilitazione, vengono realizzati un album in studio ("Abbey Road") e un live composto unicamente da pezzi nuovi ("Let It Be", 1970). La registrazione di quest’ultimo è testimoniata da un film nel quale i 4 si esibiscono sul tetto della casa discografica, dando il via per l’ennesima volta a una moda. Ma, come si dice, siamo alla frutta: nonostante i brani ancora una volta splendidi ("Let It Be", "Get Back", "Across The Universe", "Here Comes The Sun", "Something") la formazione non prova più alcun desiderio di proseguire insieme, e il 10 aprile del 1970 Paul McCartney si assume l’ingrato compito di annunciarlo a tutto il mondo.
Che cosa rimane da dire? Molto e insieme molto poco. Nel corso degli anni Settanta diverse voci annunciano l’imminente reunion del gruppo, fino alla fatidica data dell’8 dicembre 1980, giorno in cui un folle uccide John Lennon. Paradossalmente, l’evento tanto atteso ha luogo proprio quando la sua impossibilità è ormai un dato di fatto: dopo un inaspettato rientro ai vertici delle classifiche inglesi con la ristampa in digitale di "Sgt. Pepper’s" nel 1987, e dopo la fortunata pubblicazione della "Beatles’ Anthology" nei primi anni novanta, Yoko Ono annuncia di avere custodito registrazioni inedite di Lennon. E, soprattutto, di essere disposta a consegnarle ai tre beatle rimasti. Nel 1995 "Real Love", ma soprattutto "Free As A Bird" con opportune inserzioni vocali di McCartney, ricreano per un istante il miracolo. Nonostante la resa non perfetta (soprattutto per quanto riguarda la voce di Lennon, originariamente incisa in maniera piuttosto artigianale), il risultato è in grado di evocare l’eco della passata grandezza.
Per la gioia di tutti i fan, però, non è ancora finita. Nel 2000, infatti, i 4 ragazzi di Liverpool sono di nuovo in testa alle classifiche di tutto il mondo. "1", la raccolta di tutti i singoli giunti al primo posto delle hitlist inglesi e americane nel periodo della loro sfolgorante collaborazione, riporta magicamente il tempo indietro ai mitici anni sessanta. Cosa questa che si ripete 3 anni dopo, quando "Let It Be... Naked" ripropone l'ultimo lavoro della band senza gli arrangiamenti postumi del produttore Phil Spector, che soprattutto McCartney non aveva mai gradito. Ma nel frattempo un altro beatle se n'è andato: George Harrison muore di cancro il 29 novembre 2001. Ed entra definitivamente nella leggenda.

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